OTTOBRE 2013 NILDE IOTTI TERZA PARTE

notizia pubblica il 06/11/2013 - ultimo aggiornamento del 06/11/2013

Togliatti aveva da poco concluso la sua relazione, era rimasto solo al tavolo della presidenza, i lavori del congresso erano sospesi. Montanari gli si avvicina:Mi misi alle sue spalle. Attesi diversi minuti a due metri, in piedi. Tutti erano in giro, al bar a passeggiare o a preparare incontri. Togliatti si girò, fece un cenno di saluto e mi chiese molto gentilmente :”Ti occorre qualcosa, hai bisogno, vieni avanti”. Mi avvicinai e tra il più grande imbarazzo farfugliai a voce bassa : “Noi di Reggio siamo contrari”. Silenzio. Non sapevo come continuare. “A cosa, a chi ?” chiese Togliatti, con molto garbo. In quel momento avrei voluto sprofondare, fuggire. Risposi letteralmente: “A Nilde nel Comitato centrale”. Togliatti attendeva senza un segno di fastidio e con il volto sereno, anche se stanco. Domandò : “Per quali ragioni?” Ripetei: “siamo contrari”. Nuova domanda: “Ma perché, posso saperlo come presidente della Commissione elettorale ? Mettiti tranquillo. Puoi darmi una ragione ? Non aver timore. Ho la pelle dura, ho la pelle del rinoceronte e la memoria dell’elefante, ma dimentico, lascio cadere le cose amare. E poi cose più grosse di quelle che ci stanno capitando : Ungheria, Suez non dovrebbero essercene per ora”. Non mi sbloccavo. Togliatti sempre con garbo , quasi in modo paterno mi chiese : “La Iotti è contro la linea del partito ? E’ contraria alle dure lotte che facciamo ? E’ contraria al costume del partito ?” Io rispondevo con gli occhi continuamente abbassati e rosso di vergogna : “No, no, no, poi alla Nilde ho sempre voluto bene, come a una sorella maggiore e come insegnante che mi proteggeva nel marzo-aprile 1944 quando dormivo in classe perché con altri partigiani eravamo in giro tutta la notte e al mattino dovevo essere a scuola”. Non sapevo come cavarmela. Nuova domanda : “ Ma perché sei venuto solo ?”“Hanno incaricato me. Siamo contrari perché Nilde è mancata qualche volta alle riunioni, ai comizi e perché raramente va a trovare Niccolini e gli altri partigiani in carcere”

Lo sfogo della Iotti quando seppe della cosa fu tremendo, indignata e con le lacrime agli occhi, dice Montanari, mi gridò in faccia: ”…. Togliatti è la persona che più stimo, la più capace, un grande uomo di cultura. E’ la persona che amo. La mia vita è per sempre legata alla sua vita. Come fate a non capirlo ? Qualsiasi cosa accada io sono legata a Togliatti e lo difenderò sempre con tutte le mie forze. Togliatti è la mia famiglia”. Il nome della Iotti riuscì a superare lo sbarramento delle diffidenze, ma per il rotto della cuffia. Fra le nove donne che entrarono nel comitato centrale, Nilde finirà in fondo alla classifica, ben distanziata dalle altre candidate.

1956 UN ANNO CRUCIALE PER ILCOMUNISMO

A Mosca sono attesi Togliatti, Scoccimarro, Bufalini, Cacciapuoti e Bugliani. E’ la delegazione ufficiale del Partito comunista italiano al XX congresso del Pcus.Nilde non è accanto al suo compagno. Il motivo lo si scopre a Mosca quando alla delegazione si unisce Rita Montagnana. E’ la prima volta, dopo un’eclissi durata anni, che Rita compare accanto al segretario e che viene chiamata a ricoprire un ruolo di primo piano. In più proprio in quei mesi si trovava a Mosca anche per assistere il figlio Aldo, in cura presso un centro neurologico della capitale.Togliatti è partito da Roma con molti pensieri. A Mosca infatti la situazione è imprevedibile. Il premier Malenkov è stato sostituito da Bulganin e Nikita Chruscev sta trattando con Tito un patto di conciliazione.Il 25 febbraio Chruscev legge il famoso rapporto nel quale elenca puntigliosamente le malefatte ed i delitti compiuti da Stalin, dal 1934 in poi.Di notte, in albergo, prima della pubblicazione a tutti, Togliatti riceve una copia del rapporto, scritta in russo; la legge, ma per più di tre mesi non ne parla né ai compagni italiani, né ad altri.Togliatti torna a Roma il 6 marzo dove è atteso alla stazione Termini da Longo, Pajetta, Amendola ed Amadei. Sa bene che lo aspettano giornate difficili. I sovietici stavano cambiando strategie e assetti di potere ma tutto era ancora magmatico e poco comprensibile, anche per un politico di lungo corso come lui.I più inquieti fra i compagni erano i più giovani, quelli della seconda generazione, Amendola, Pajetta e Ingrao.Quando il 14 giugno il “New York Times” pubblicò il rapporto segreto di Chruscev il segretario deve riconoscere di averlo letto a Mosca fin dal febbraio e deve ammettere che non si trattava di un falso scoop.

MORTE IMPROVVISA DI TOGLIATTI A YALTA

Palmiro, Nilde e Marisa partono per Mosca il 9 agosto del 1964.Forse non sono contenti di quella vacanza, che avrebbero preferito trascorrere ancor a una volta insieme nell’amata Valle d’Aosta.Ma sia la direzione del Pci che lo stesso Togliatti considerano quel viaggio ormai necessario.Le incomprensioni fra Pci e Pcus si sono accumulate e rischiano di implodere.Al loro arrivo a Mosca, contrariamente alle aspettative, non troveranno Chrusciov ad accoglierli. I dirigenti sovietici dicono a Togliatti che il capo del Pcus lo raggiungerà ad Yalta, sulle ospitali rive del Mar Nero.Ma quel periodo di attesa non sarà inoperoso. Togliatti si mette al lavoro, vuole scrivere un promemoria sui problemi internazionali più delicati da sottoporre ai compagni sovietici. Lo conclude il 13 agosto e lo affida a Nilde e Marisa per la ricopiatura.Dopo pochi giorni si allontana di pochi chilometri per salutare alcuni giovani pionieri, si sente male, il coma è irreversibile, morirà dopo pochi giorni.Per Nilde l’interminabile volo verso Roma insieme alla salma del suo compagno, poi, il 25 agosto i funerali.E se il posto d’onore in piazza San Giovanni, intorno al suo feretro, era un diritto riconosciuto a tutti i militanti comunisti e al popolo che lo aveva amato, anche a lei spettava qualcosa.Toccava al partito riconoscerglielo, e questo accadde.Proprio lei e Marisa saranno alla testa del procedere dolente di quel corteo funebre.Dopo quasi quindici anni di convivenza, dopo un legame d’affetto tanto profondo nell’intimità quanto contrastato nella vita pubblica, la sua presenza risultava ufficiale proprio nel momento in cui tutti riconoscevano in lei la sua vedova. Vedova di un uomo che mai era stato suo marito, che mai aveva potuto essere padre di un figlio suo.E Togliatti aveva avuto l’uno e l’altra.Anche gli altri della sua famiglia primitiva erano lì. Rita Montagnana e Aldo, lontani dal corteo, erano su una macchina, soli, con discrezione, fuori dalle polemiche.

NILDE ESECUTRICE TESTAMENTARIA

Il 30 settembre 1964 Nilde scrive a Natta:

Caro Natta,

Ti accludo il libretto del conto corrente mio e di Togliatti presso il Banco di Napoli.

Come già ebbi a dire al compagno Longo, subito dopo la morte di Togliatti, il conto corrente conteneva tutti i nostri comuni risparmi pari a L. 3.400.000.

In data 16 settembre ho ritirato la somma di L. 1.700.000 pari alla metà della somma, considerata secondo l’uso, di mia proprietà.

Ti rimetto ora il libretto, perché tu lo faccia pervenire ad Aldo Togliani.

Grazie e cordiali saluti. “

Tre milioni e quattrocentomila rispetto al costo di vita di quegli anni possono essere considerati il frutto delle economie di una famiglia di media borghesia, che non ha risparmiato troppo. Per cogliere fino in fondo la consistenza modesta di quella cifra, basti pensare che, per acquistare una Fiat 600 di quel tempo, era necessaria poco meno della metà dei risparmi di una vita di Nilde Iotti e Palmiro Togliatti.

Altra riflessione riguarda “l’invadenza” riconosciuta e perfino richiesta dal partito.

Non c’erano angoli per quanto intimi che potessero restare nel privato.

Nilde, oltre ad informare il Pci dell’entità dei suoi risparmi e di quelli del suo compagno, decide di consegnare a un autorevole dirigente il suo libretto di risparmio e gli dà conto delle operazioni effettuate e del perché sono state fatte.

C’erano indubbiamente sullo sfondo anche gli interessi della prima famiglia legittima di Togliatti, anche e soprattutto quelli del figlio Aldo e del suo futuro .

Ormai era chiaro a tutti che Aldo non sarebbe stato in grado di pensare a se stesso. La sua malattia progrediva e le sue capacità di autonomia erano sempre più fragili.

LA VITA CONTINUA, ANCHE SE GREVE

Nilde cerca di reagire e affronta il cambiamento impostole dal destino con un grande attivismo, nonostante i fastidi di una salute diventata più fragile.

Si aggrappa al lavoro ed ai temi che l’avevano sempre appassionata : i diritti delle donne, la parità, la loro emancipazione.

Con testarda tenacia insiste e ribadisce quello che per lei rappresenta il “cuore” del problema; un’alleanza organica e stabile fra le donne di orientamento diverso: politico, ideologico, religioso. Le parole del Concilio sulla famiglia e la pace le fanno sperare “forme permanenti di unità”.

Agli inizi degli anni settanta i confronti dei due “mondi” si fanno più intensi e ravvicinati. Ampi settori dell’opinione pubblica e degli stessi ambienti politici non escludevano che le morotee “convergenze parallele” potessero ora comprendere anche il suo partito, il Pci.

Le novità del Concilio Vaticano II° e le apertura di papa Giovanni avevano schiuso ai cattolici nuovi spazi di impegno politico. Quel mondo, mai monolite, si era aperto alla “modernità”, e sembrava ora più disponibile a lasciarsi “contaminare” dal nuovo che emergeva nella società italiana.

E chi meglio di Nilde Iotti, per la sua formazione culturale in una università prestigiosa, per la sua vicinanza a Togliatti, in quanto custode del suo pensiero, poteva contribuire ad allargare quelle brecce ?

Forse non è un caso che proprio Giuseppe Dossetti – monaco nell’abbazia di Monteveglio e nei giorni del Concilio principale collaboratore dell’arcivescovo Lercaro, poi papa Giovanni – fosse ora suo pro-vicario nel governo della diocesi di Reggio.

IL SUO PENSIERO SUL FUTURO PER LA DONNA

Diceva Nilde Iotti in un suo scritto:

Io non sono affatto femminista, però è vero che nel rapporto uomo-donna, all’interno della famiglia ci sono tante cose che la donna deve subire, perché altrimenti pagherà un prezzo troppo alto (….) Quando la moglie è stata solo moglie e madre, quando alla fine della sua vita si accorge di avere rinunciato a se stessa, l’amarezza si fa cruda. (….) Ricordo mia madre che pure aveva avuto un rapporto molto bello con mio padre. La mia era una famiglia molto unita. (….) Quando mio padre morì, prima di mia madre, fu per lei una tragedia. Ricordo tuttavia che diceva sempre: tutta la mia vita ho lavato panni e piatti, ho educato figli, ci siamo voluti bene, ma io cosa sono ?”

Il tema è quindi quello ineludibile delle riforme in favore della donna. Si deve intervenire sulla scuola, sui servizi sociali così come sulla “rivoluzione” dei costumi.

PROGRESSIONE NELLA “CARRIERA” POLITICA

Ad ogni congresso è confermata nel Comitato centrale e nella Direzione del partito. Dal 1969 sedeva sui banchi del Parlamento europeo, come delegata italiana del suo partito. Dal 1972 è vicepresidente della Camera e dal 1976 presidente della prestigiosa Commissione degli affari costituzionali.

Anche nella vita privata Nilde sembra sempre più serena ed appagata. Ha cambiato casa, è diventata nonna di due nipotini, figli di Marisa.

Il 1979 sarà il suo anno “magico”.

Un’anticipazione sarà la sua elezione a deputato europeo nell’europarlamento. E pochi giorni dopo il coronamento desiderato, sperato, forse inatteso, della sua lunga “progressione”!!! Il 20 giugno proprio lei sarebbe salita sul seggio più alto di Montecitorio, la sua “casa” ormai da trentatre anni.

Risalendo i gradini di quello “scalone” dove tutto era iniziato e si era intrecciato – la sua storia di donna e la sua carriera politica – forse avrà ricordato una frase di Borges che tanto l’aveva colpita: “Il passato è indistruttibile, prima o poi tornano tutte le cose, e una delle cose che tornano è il progetto di abolire il passato”.

LA SUA BOLOGNA ESPUGNATA DAL “MACELLAIO”

Stava male Nilde quel 27 giugno 1999.

Da mesi non era più quella di un tempo. La salute declinava, tanto da costringerla a lasciare per sempre quel seggio alla Camera che era stato suo per cinquantatre anni.

Ma quel ventisette giugno non era solo il male fisico a tormentarla. Bologna, la città “rossa” che mai aveva ceduto di fronte al “nemico” era stata espugnata da Giorgio Guazzaloca, il “macellaio” , che così di presentava con una punta di civetteria.

Però come era strana, paradossale e beffarda la vita ….! Come tutto si bruciava in fretta! Soltanto tre anni prima la sinistra con l’Ulivo era riuscita finalmente ad entrare nelle stanze del potere.

Ora, invece, cosa stava accadendo ? La sua mente non riusciva ad allontanare quei ricordi: Bologna, Nozza, l’Emilia. E pensare che neppure il “ professorino” della Dc, Giuseppe Dossetti, era riuscito nell’impresa di strappare al comunista Giuseppe Dozza il Comune di Bologna ! Ma erano altri tempi, era il 1956.

Ma per Bologna non si poteva fare più nulla. La città, almeno fino alla primavera del 2004, sarebbe stata amministrata dal centro-destra.

RIFORMA DELLA COSTITUZIONE

Nell’aprile del 1994, il centro-destra, con Silvio Berlusconi, aveva vinto le elezioni politiche. Nel suo programma elettorale il punto qualificante era il progetto di riforma costituzionale, da approvare – si dichiarava – con chi ci stava, quindi anche solo a maggioranza.

L’allarme fu subito alto. Uno strappo alla carta del ’48 era nell’aria da tempo, ma ora si voleva incidere proprio “nei suoi presupposti supremi in nessun modo modificabili”.

Il primo segnale di pericolo fu lanciato proprio da don Giuseppe Dossetti.

Dossetti, seguendo “l’esempio degli antichi Padri del deserto che ritornavano in città in occasioni di epidemia, di invasioni o di altre grandi calamità pubbliche”, decideva di lanciare un appello, per poi organizzare le contromosse :

Non bastano i discorsi, il “popolo” deve reagire, riprendere in mano il proprio destino, riprendere il cammino della democrazia sostanziale. Bisogna agire subito con la sollecita promozione, a tutti i livelli, dalle minime frazioni alle città, di Comitati impegnati e organicamente collegati, per una difesa dei valori fondamentali espressi dalla nostra Costituzione; Comitati che dovrebbero essere promossi non solo per riconfermare dottrine e ideali, ma anche per un’azione veramente fattiva e inventivamente graduale, che sperimenti tutti i mezzi possibili, non violenti, ma sempre più energici, rispetto allo scopo che l’emergenza attuale pone categoricamente a tutti gli uomini di coscienza”.

Nilde Iotti non era più presidente della Camera.

Dal marzo 1993 aveva sostituito Ciriaco De Mita al vertice della Commissione bicamerale per le riforme istituzionali.

E già nell’impianto di revisione costituzionale che si stava delineando c’era forse qualche ragione d’allarme. L’opera successiva di D’Alema e Berlusconi in questo settore sarà testimone del clima politico e del marasma del momento.

L’INCONTRO PUBBLICO CON IOTTI – DOSSETTI

Tangentopoli impazza. Fuori dai pronostici il centro-destra con Berlusconi vince le elezioni e conferma il suo progetto di revisione costituzionale.

In quella atmosfera, carica di tensione, ma anche di speranza, nacque l’idea di un incontro pubblico e ufficiale fra don Giuseppe Dossetti e Nilde Iotti, incontro richiesto dal monaco e da svolgersi nella sua abbazia di Monteveglio.

Già in precedenza questo incontro, informale e privato, era stato fissato per il 29 marzo ma era stato disdetto perché Giulio Andreotti aveva ricevuto un avviso di garanzia “per associazione a delinquere di stampo mafioso” e don Dossetti, pur non rinunciando ad esprimere il proprio giudizio, volle evitare speculazioni giornalistiche.

L’incontro pubblico ebbe luogo nell’abbazia di Monteveglio a fine anno 1993.

Don Dossetti interviene per primo e, con un lungo incipit, ripercorre quel “crogiolo ardente ed universale” che fu la seconda guerra mondiale. Quell’evento di proporzioni immani rappresentò per i costituenti una sorta di banco di prova dal quale dovevano uscire non solo nuove regole, ma inedite prospettive di convivenze fra gli uomini. E proprio perché quell’accordo si basava , più che su ogni altro motivo, sulla volontà comune di riparare al danno morale della guerra, il nuovo Stato doveva essere così nettamente diverso da quello prefascista per evitare il ripetersi di quella tragedia. Questa consapevolezza spinse “in qualche modo tutti a cercare in fondo, al di là di ogni interesse e strategia particolare, un consenso comune moderato ed equo”.Oltre alle storie e alle ideologie, vi fu dunque una convergenza faticosa ma libera, senza contropartite.

Al di là della rigorosa disamina dei principi fondanti della Costituzione, delle sue possibili riforme, consentite però da un’inflessibile difesa delle regole previste dalla Carta, ci pare che proprio l’esaltazione di quella comune volontà rappresenti il messaggio più forte ed elevato contenuto nelle parole di don Dossetti.

L’onorevole Iotti si presenta al suo interlocutore e al pubblico con grande modestia, e forse è questo l’aspetto imprevisto e quindi più toccante del suo intervento.

Al “professor” Dossetti, che è seduto al suo fianco, si rivolge con una deferenza, quasi con una soggezione da allieva a maestro, che stupisce e perfino commuove:

Ho avuto la fortuna di far parte di quell’Assemblea Costituente, di far parte della Commissione dei settantacinque e di quella Sottocommissione che contiene i principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico.

Poi, quasi parlasse a lui soltanto, aggiungeva:

Devo dire che a differenza del professor Dossetti, mi consenta don Dossetti di chiamarla come allora ero abituata, che fu uno dei protagonisti di quell’Assemblea, io sono stata, salvo per qualche momento, soprattutto un’ascoltatrice. Quell’esperienza è stata per me, che avevo solo ventisei anni, la più grande scuola politica a cui abbia avuto occasione di partecipare anche nel proseguo della mia vita politica. Ed era immensamente forte da parte mia il rispetto verso uomini così pieni di storia, di cultura, di saggezza che rimanevo come incantata; erano talmente acuti la curiosità e insieme lo sforzo per conoscere e per capire le idee che stavano venendo alla luce, che, ripeto, sono stata in quel periodo soprattutto un’ascoltatrice”.

Nilde Iotti concordava in pieno con gli allarmi lanciati da don Dossetti.

Anche per lei il dopoguerra aveva rappresentato un argine da cui non si poteva tornare indietro.

I partiti vecchi e nuovi avevano dovuto “fare i conti con se stessi e con le loro impostazioni ideali”.

Secondo la Iotti era fondamentale che:

i principi supremi: unità e indivisibilità della Repubblica, lavoro, riconoscimento e garanzie dei corpi intermedi fra la persona e lo Stato, diffusione del potere fra una pluralità di soggetti distinti e di reciproci contrappesi, non potevano essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale”.

Alla fine, quasi a rendere più forte il commiato, Nilde Iotti ricordava un incontro recente con il poeta Mario Luzi, il quale alla fine “quasi volesse richiamarmi a un dovere e contemporaneamente mettere in gioco se stesso, Luzi l’aveva ammonita “a tenere gli occhi ben aperti perché non sappiamo quello che succederà”.

Così si spegnevano i riflettori su quella sera.

Sotto le volte di qual monastero, dietro la solennità di quel tavolo stava ricomponendosi l’anima di due storie che, ammainate le bandiere, ma non cancellate le proprie radici, cercavano di mescolarsi.Al di là delle parole, purimportanti, che ognuno di quei protagonisti aveva pronunciato, era bellissimo ripensare alla loro biografia e all’importanza simbolica dell’aver voluto presentarsi insieme a parlare in un momento così difficile per la Nazione.Forse non a caso, dopo quella sera, uomini e donne “di buona volontà” si incontrarono con più volontà di agire.Si costituirono Comitati per la difesa della Costituzione e si mise mano a rinverdire l’Ulivo di Romano Prodi.

 

P.S. (fuori dal testo del libro) :

 

Il grande poeta fiorentino, come tutti i grandi in ogni epoca, “vedono” più in là dei comuni mortali.

 

Guai a non ascoltare gli uomini di grande cultura ed umanità.

 

Quando il poeta Luzzi ammoniva a “ tenere in futuro gli occhi ben aperti “ forse intravedeva che la mancanza di personalità preparate e giuste come Nilde Iotti sarebbero mancate alla sinistra che poi in effetti sacrificherà con un proprio “fuoco amico” il professor Romano Prodi sia come Presidente del Consiglio che come possibile Presidente della Repubblica.

 

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