Luglio 2013 La Crisi dell'impero Vaticano

notizia pubblica il 14/07/2013 - ultimo aggiornamento del 14/07/2013

CASA CULTURALE DI SAN MINIATO BASSO

 

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LUGLIO   2013

 

LA CRISI DELL’IMPERO VATICANO

 

Frasi significative del libro di Massimo Franco del febbraio 2013


 

           

 

            Questo libro è stato scritto subito dopo l’abdicazione al soglio pontificio di Beneddetto XVI avvenuta il 28 febbraio 2013 e l’autore quindi ignora in questo lavoro l’arrivo di Papa Francesco.

 

 IL “MEA CULPA” DI BENEDETTO XVI

 

                Un papa che si dimette è già un avvenimento epocale, nella storia moderna.

 

Ma un pontefice che lo fa nel pieno delle proprie facoltà mentali, indicando come motivazione semplicemente la fragilità che deriva dall’età, spezza una tradizione plurisecolare.

 

            E se questo avviene in una fase nella quale il Vaticano è attaccato da ogni parte , anche dal proprio interno, il gesto assume la grandezza e la tragicità di un “mea culpa” radicale, definitivo, irrevocabile, che il capo della Chiesa cattolica offre ai propri fedeli e al resto del mondo per riscattare la ragione d’essere dell’istituzione che rappresenta.

 

            Il dramma sta qui : nel riconoscimento dell’impossibilità di cambiare il Vaticano che non funziona più.

 

            L’inferno di papa Ratzinger non ha nulla di letterario. E’ terreno, terragno, impastato dell’umanità intossicata dal potere dei cosiddetti “sacri palazzi” vaticani.

 

“Nessuno può dirlo” ha scritto Giulio Anselmi, “ma di certo è stato lo stesso Ratzinger a dichiarare che i veleni e il tradimento da parte di stretti collaboratori avevano “portato tristezza” al suo cuore”.

 

 E’ come se, non essendo riuscito a cambiare la Curia, il papa fosse arrivato a una conclusione amara : ha deciso di andare via lui, di decapitare l’istituzione che capeggiava.

 

A metà del febbraio del 2013 lo “IOR” , ‘Istituto  per le opere di religione considerato “la banca del papa”, era ancora senza presidente oltre otto mesi dopo la ruvida sfiducia nei confronti di Ettore Gotti Tedeschi.

 

Sottovoce, si parlava del “contenuto sconvolgente” del rapporto segreto che tre cardinali anziani avevano consegnato pochi mesi prima a Benedetto XVI dopo aver indagato su “Vatileaks” , la fuga di notizie riservate per la quale era stato incriminato, condannato e poi graziato il maggiordomo papale, Paolo Gabriele.

 

E hanno continuato a spuntare buchi di bilancio a carico di istituti cattolici, riproponendo un’eredità di gestione maldestra, o peggio, degli affari : faide economiche con risvolti giudiziari, che alla fine hanno pesato al di là di ogni immaginazione sulle spalle infragilite di Benedetto XVI.

 

Di questi imbarazzi, di queste giustificazioni obbligate al mondo “degli altri” , quello non religioso, il papa ha sofferto.

 

E’ come se avesse interiorizzato “la malattia” della crisi di credibilità del Vaticano, apparentemente irrisolvibile.

 

In quei giorni arrivò anche una conferma autorevole: quella del ministro Andrea Riccardi , che conosce bene Ratzinger . “Ha trovato resistenze più grandi di quelle che crediamo e non ha trovato più la forza di contrastarle”.

 

 

 

IL COMPORTAMENTO DEI PAESI COMPRESI NEL COSIDETTO “PIIGS”

 

Il “PIIGS” è un acronimo che indica le iniziali di Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna.  Sono tutti Paesi con un maggioranza di cattolici o ortodossi. Stati che il debito pubblico altissimo rende anche “colpevoli” e “peccatori” e tendenzialmente non redimibili.

 

Alla base di queste nazioni  “viziose” ci sarebbe l’incapacità di emanciparsi dal cattolicesimo: una cultura, prima ancora che una fede , passata dalla pratica delle indulgenze, del denaro dato alla Chiesa per farsi perdonare i peccati, a un’eccessiva tolleranza in materia di “peccati fiscali”.  Secondo questa tesi, la tendenza di massa a non pagare le tasse e  i casi di corruzione diffusa sono figli legittimi del “non protestantesimo”.

 

L’idea che tedeschi, finlandesi e olandesi prendano l’iniziativa per creare una “moneta unica del Nordeuropa”  contro un “euro mediterraneo “ di serie B è uno dei modi per rivendicare il primato protestante su quello cattolico; e per affermare l’impossibilità di un’alleanza fra stati della “cintura della Bibbia” e della “cintura del Vangelo”.

 

            C’è da chiedersi come debba essersi sentito in questi schemi un pontefice tedesco e bavarese come Benedetto XVI. Il papa si è ritrovato suo malgrado al centro di questo scontro; e lo ha vissuto nella doppia veste di cittadino di uno Stato ipercritico verso la cultura economica cattolica , e di capo del cattolicesimo.

 

            Benedetto XVI conosceva bene le pulsioni più profonde del popolo tedesco.

 

            Ha concentrato nella sua persona il dilemma europeo di questi anni, mescolando l’esigenza di ricristianizzare l’Europa  con quello di impedire che vecchie divisioni religiose rinascessero sotto l’urto dell’impoverimento e delle paure di vasti strati delle società occidentali.

 

            Il dramma del papa tedesco nasceva dalla consapevolezza delle tentazioni egemoniche che storicamente riemergono nella sua Germania.

 

            Sapeva di avere pochi strumenti per incidere su una mentalità che guarda al “Sudeuropa”  con le lenti di un passato lontano.

 

            Così, mentre la Chiesa cattolica perde fedeli e carisma, in particolare nelle nazioni nordeuropee, anche in conseguenza dello scandalo degli abusi sessuali dei sacerdoti, l’aspetto economico approfondisce la crisi  e inserisce un ulteriore elemento di contrasto.

 

            Pesa la percezione del cattolicesimo come “religione debole moralmente”, viziata da un perdonismo e da un’inclinazione all’indulgenza che ne hanno sempre costituito la forza, e che invece ora le vengono rimproverate come difetti intollerabili.

LA DEMOCRAZIA A RISCHIO

 

La frattura fra “ricchi” e “poveri” passa di nuovo fra Nord e Sud: ma stavolta non del mondo intero ma della stessa Europa.

 

E le polemiche fra “virtù” protestanti” e “colpe cattoliche” sul piano finanziario preparano strumentalmente il terreno per questo scontro.

 

Non capendo bene dove si va a finire, rispuntano mostri, si cerca il nemico, si addita il capo espiatorio per le cose che non vanno. E la Chiesa di Roma appare spaventata, con le lenti troppo appannate per leggere i segni dei tempi.

 

Eppure, sta diventando chiaro che in bilico, con l’Euro, sono anche la pace e le basi democratiche dell’Europa. 

 

Quando i sistemi parlamentari non garantiscono più benessere, bruciano risparmi o comunque non riescono a impedire che la speculazione finanziaria li bruci, e la disoccupazione supere il dieci per cento e in paesi come la Grecia e la Spagna viaggia sopra il venti per cento, con livelli più che doppi per i giovani, in gioco c’è la democrazia.

 

La leggerezza con la quale si parla di uscita dall’euro somma demagogia e irresponsabilità !

 

Già i costi economici danno i brividi. Nonostante manchino calcoli esatti, perché si aprirebbero scenari in parte inimmaginabili, le stime per difetto parlano di un calo del prodotto interno lordo fra il 40 e il 50 per cento per le nazioni più deboli che dovessero lasciare l’area della moneta unica.

 

LA LOBBY ANTI-OBAMA

 

La conferenza episcopale dei vescovi Usa il 16 novembre 2010 stava per nominare il suo nuovo presidente. La scelta era certo che sarebbe caduta su monsignor Gerald Kicanas, vescovo di Tucson, in Arizona, a quel tempo vicepresidente dell’episcopato americano, il quale faceva parte della cerchia dell’ambasciatore Miguel Diaz, il teologo scelto da Obama come suo rappresentante diplomatico alla corte del papa.

 

Molti vescovi percepiscono in Obama, più che un riformatore sociale, soprattutto un alleato della cultura laicista e di una religione intellettuale e individualistica. Un Presidente che contribuirebbe alla crescente secolarizzazione dei giovani e alla trasformazione del partito democratico, in un tempo non molto lungo, in quello dell’alternativa laicista come i socialisti di Zapatero in Spagna e di Hollande in Francia.

 

Ma invece di Kicanas arrivò la notizia della nomina di Timothy Dolan, un duro avversario dell’agenda “liberal” di Obana.

 

Si trattava di uno deciso  “spostamento a destra” della Conferenza dei vescovi Usa.

 

I rapporti fra Casa Bianca e Vaticano non erano perciò a questo punto molto distesi.

 

Alla morte del nunzio papale a Washinton,  Sambi, venne eletto Carlo Maria Viganò, fino a quel momento segretario del Governatorato del Vaticano.  

 

Viganò era dal Vaticano non premiato con questa nomina ma allontanato da Roma perché aveva denunciato quelli che a suo avviso erano casi di malaffare e di corruzione nella gestione del patrimonio della Santa Sede.

 

I vescovi americani furono felici ed apprezzarono subito questa nomina perché la fama di moralizzatore e rompiscatole nei confronti della Curia piaceva maledettamente a un episcopato ricco, potente e diffidente nei confronti delle beghe romane.

 

L’episcopato americano ha un forte potere economico che pesa sui conti della Santa Sede.

 

I Cavalieri di Colombo sono “la più grande compagnia di assicurazione cattolica” che si occupa di raccogliere donazioni che soddisfano esigenze filantropiche in tutto il mondo. Sono polizze valutate in 85 miliardi di dollari, mentre il patrimonio dei “Cavalieri” si aggira intorno ai 15 e mezzo.

 

Un loro vescovo ebbe a dire in una intervista: “Intanto, noi vescovi americani prendiamo per buono un decimo del gossip che proviene dal Vaticano. Non sappiamo mai quanto sia esatto, e il più delle volte giriamo pagina e leggiamo lo sport. Secondo,  per poco tempo che è stato qui, Viganò ci è piaciuto sempre di più”. Erano parole schiette, venate di qualcosa che somigliava al sarcasmo e al disprezzo per quanto di imbarazzante accadeva nella capital del cattolicesimo.

 

In un ambiente conservatore come il Vaticano, il pragmatismo e la potenza economica dei cattolici statunitensi sono novità vistose.

 

Viene da chiedersi quale sia e come si comporterà in futuro un gruppo culturalmente così  omogeneo e agguerrito in una Curia traumatizzata dalle lotte interne, dalle fughe di notizie  e da una “sindrome italiana” fatta di veleni, cospirazioni, pugnalate alle spalle e sostanziale immobilismo.  Al vicino conclave la verifica di questo malessere !

 

E’ difficile non vedere in questo gruppo di vescovi di oltre Atlantico  il tentativo di avere un approccio meno difensivo e ufficiale con la stampa mondiale ; di fornire un’immagine più pragmatica.  Ma soprattutto, di dire in faccia ai vertici ecclesiastici quello che non va;  cosa non abituale in Roma.

 

LA VICENDA DELLO “IOR” LA BANCA DEL VATICANO

 

Il paradosso di quanto è successo allo  “IOR”  è questo:  La Santa Sede che ha come “ragione sociale” principale un primato morale, che raccoglie e giudica le manchevolezze umane, che assolve dai peccati, in questa circostanza si è trovata dalla parte opposta di un simbolico confessionale.

 

Era lei ad essere giudicata.

 

Lei avrebbe dovuto elencare le proprie pecche, o comunque permettere agli altri di chiedere se e dove avesse ”peccato”; e dimostrare di essere in regola e dunque di potere entrare in quella “lista bianca” e teoricamente immacolata degli Stati che non riciclano soldi sporchi e non finanziano criminalità e terrorismo: una sorta di passaporto per il “paradiso” della rispettabilità internazionale.

 

Di permettere a riflettori laici, esterni, severi, di illuminare e frugare alcuni fra gli angoli più misteriosi del modo di operare del Vaticano.

 

Benedetto XVI questo voleva !

 

Quando il 23 settembre del 2009 Gotti Tedeschi era stato nominato Presidente allo IOR al posto di Angelo Caloia, si spiegò che la sua designazione era “l’inizio dell’operazione trasparenza”  voluta dal papa e dal cardinale Bertone, Segretario di Stato”.

 

Gotti Tedeschi appariva una garanzia : Studioso di economia e finanza, rappresentante in Italia del gruppo bancario spagnolo Santander ; consigliere di amministrazione di San Paolo Imi e Cassa Depositi e Prestiti ; docente all’Università Cattolica di Milano e legato all’Opus Dei ; padre di cinque figli e di “una sola moglie” , era anche molto legato al ministro Tremonti.

 

 La premessa all’opera di Gotti Tedeschi era che quanto più la banca si fosse aperta e avesse fatto pulizia al suo interno, tanto meno avrebbe attirato in prospettiva l’attenzione della magistratura e delle autorità di controllo finanziario internazionale. Si trattava di una sfida impervia, ma in quel momento sia Bertone, sia l’Appartamento, e cioè il papa e i suoi più stretti collaboratori, apparivano decisi a procedere senza esitazioni, sostenendo lo sforzo dell’economista vicentino Gotti Tedeschi.

 

Bankitalia era d’altronde vista come una sponda esterna preziosa e non ostile per procedere all’operazione trasparenza.

 

UNA “BANCA  FANTASMA”

 

 Lo “IOR” è un Istituto fondato nel 1942, in piena seconda guerra mondiale, con attualmente 33 mila clienti, la maggior parte in Europa.  Il suo patrimonio è stimato intorno ai 5 miliardi di Euro.

 

Ma è una banca un po’ particolare, quasi un istituto di credito “fantasma”.

 

-Diciamo che opera come ”istituzione non profit”, al contrario delle altre banche.

 

-Non vengono distribuiti profitti né dividendi.

 

-Allo “IOR” è vietato dalle leggi interne concedere prestiti.

 

-Investe invece soldi in operazioni a basso rischio.

 

-Non ha riserve, non tiene una massa di denaro o di oro per coprire i prestiti.

 

-Non è un istituto di credito privato ma creato da un sovrano, il papa.

 

-La gestione operativa è fatta da laici ma la supervisione spetta a cinque cardinali.

 

-Lo “IOR” non è aperto al pubblico, non è che chiunque possa entrare e aprire un conto:  bisogna essere impiegati del Vaticano o rappresentanti di un ordine o di una diocesi cattolica, oppure “Gentiluomini di Sua Santità”, quei signori azzimati in frac che assistono il pontefici nelle cerimonie ufficiali dentro i palazzi apostolici.

 

-Non ha filiali nel mondo.

 

Ma dietro questa “banca fantasma” si sono mossi per decenni fantasmi in carne ed ossa: operatori finanziari spregiudicati, sospettati di essere maestri di trasferimenti valutari segreti , anche se a fin di bene;  o, peggio, di operazione di riciclaggio di denaro sporco utilizzando lo schermo di fondazioni canoniche non profit che sono le più esposte a queste operazioni:  spesso vittime ignare, a volte complici.

 

Insomma, l’immagine o il luogo comune è che lo “IOR” sia un “paradiso fiscale” all’ombra del quale si può fare tutto dal punto di vista finanziario.

 

Lo “IOR” di Gotti Tedeschi chiedeva di essere monitorato dagli ispettori spediti da Roma e nell’aprile del 2011 la Santa Sede chiese di essere sottoposta alla valutazione di “Moneyval” , il comitato di esperti antiriciclaggio e antiterrorismo , emanazione del Consiglio d’Europa.

 

La procedura sarebbe durata oltre un anno , fra esami, valutazioni, commenti e scambio di documenti fra i commissari di Moneyval  , il Vaticano e lo “IOR”.

 

Al nome “IOR” s legano sempre i ricordi di episodi particolarmente nefasti: Michele Sindona avvelenato nel carcere di Voghera; Roberto Calvi impiccato sotto il ponte dei Frati Neri a Londra; il giudice istruttore Emilio Alesandrini ucciso dai colpi di “prima linea”; l’avvocato Giorgio Ambrosoli freddato da un killer venuto dall’America al portone di casa; il crack del Banco Ambrosiano e l’operato di Marcinkus fu all’attenzione del mondo per anni.

SE MI SUCCEDE QUALCOSA

 

Nello spazio di neppure dodici mesi, l’economista apprezzato da Bonifacio XVI, portato in palmo di mano da monsignor Tarcisio Bertone, è passato da numero uno riverito dello “IOR” a banchiere descritto dagli avversari in termini solo negativi.

 

Le nove accuse rivoltegli stilate dal board dello “IOR” il 26 maggio 2012 erano durissime: “Presidente inaffidabile e imprudente” potrebbe essere la sintesi del giudizio.

 

Gotti Tedeschi si era sentito gradualmente emarginato, isolato, perfino intimidito : al punto di temere di essere ucciso.

 

All’insaputa del banchiere lo psicoterapeuta e ipnoterapeuta Pietro Lasalvia aveva stilato, su incarico del Vaticano, una diagnosi su Gotti Tedeschi la quale diceva che il soggetto studiato presentava “tratti di egocentrismo, narcisismo, e un parziale scollamento dal piano di realtà, assimilabile a una disfunzione psicopatologica nota come “accidia sociale” , termine che ben interpreta alcuni modelli comportamentali patologico ….”.

 

Eppure, fino a qualche mese prima l’economista-banchiere era stato una delle persone scelte dai vertici vaticani per tentare il salvataggio dell’Ospedale San Raffaele di don Luigi Verzè. Forse la chiave della sua caduta nella parte bassa del Purgatorio, ai margini dell’Inferno, era proprio il ruolo svolto nel salvataggio del San Raffaele e nella metamorfosi incompiuta dell’Istituto per le opere religiose : compiti nei quali si era dimostrato non abbastanza docile, o flessibile, o abile.

 

Nella vicenda di questo ospedale gli ingredienti del grande giallo finanziario c’erano tutti: soldi, faccendieri, veleni curiali, guerre fra cardinali, intrecci bancari. E morte.  Sì, morte, da quando il 18 luglio 2011 Mario Cal, braccio destro e mente finanziaria del San Raffaele, si era ucciso con un colpo di pistola alla testa. E aveva lasciato una lettera straziante alla moglie nella quale diceva: “Cara Tina, perdonami. Non ce la faccio più. Ancora una volta pago errori di altri ….”

 

In apparenza, non accadeva nulla. Eppure, la sfiducia nei confronti di Gotti Tedeschi ormai era decisa: andava solo ufficializzata in modo da fare meno rumore possibile; e da provocare un’eco internazionale tollerabile.

 

Da alcuni mesi, ormai, il banchiere appariva segnato psicologicamente dalla vicenda. No solo sentiva intorno a sé il deserto, ma aveva paura :  paura fisica di qualche attentato o “incidente”. Al punto che aveva scritto un memoriale destinato al proprio avvocato, al segretario di Benedetto XVI e al giornalista Massimo Franco, “nel caso mi succedesse qualcosa”. Non pensò di mandarlo a nessun giornalista legato al Vaticano, sebbene ce ne fossero alcuni che considerava suoi amici. Gotti Tedeschi lo aveva consegnato alla segretaria e le aveva dato istruzioni di mandarlo ai tre destinatari, in caso di una qualche “disgrazia”.

 

La linea difensiva del banchiere Gotti Tedeschi sembrò quella di non difendersi, di non mettere in piazza le stranezze di cui era stato testimone, e di non accusare pubblicamente i suoi avversari.

 

L’impressione è che avesse sopravvalutato la propria posizione e sottovalutato gli umori vaticani nei suoi confronti, che si illudesse di avere dalla propria parte Benedetto XVI , e aspettasse un cenno del pontefice per andare da lui, spiegarsi, e accettare docilmente le indicazioni papali.

 

Ma l’unica convocazione, traumatica, fu quella della magistratura di Napoli. E lì Gotti Tedeschi fu costretto a difendersi.

 

Per capire chi fosse a volerlo fuori dallo “IOR”,  nella sua percezione, c’era solo l’imbarazzo della scelta.

 

Ma non era finita. Gotti Tedeschi si ritrovò esposto alle indagini della magistratura a ricostruire alcuni traffici di Finmeccanica e del suo amministratore delegato, Giuseppe Orsi, indagato per corruzione internazionale e riciclaggio, amministratore amico di Gotti Tedeschi, piacentino come lui.

 

LA SECONDA REPUBBLICA VATICANA

 

            David Willey, storico vaticanista, ebbe a dire il 18 ottobre 2012 all’Oxford and Cambridge Club : “In questi mesi ho il triste privilegio di assistere, come corrispondente da Roma della Bbc, al declino di due stati: quello italiano e quello della Città del Vaticano……”,

 

Fa una certa impressione constatare che non tanto in Italia, ma a livello internazionale la crisi della Seconda Repubblica berlusconiana e di quella vaticana vengono assimilate ed equiparate : come se fossero due crisi gemelle e simmetriche.

 

Se si scorrono le cronache di questi anni, viene fuori un affresco di contiguità e a volte perfino di complicità, che chiama in causa costantemente personaggi legati alla Santa Sede.

 

E se accanto a queste vicende si mettono in fila le prese di posizione di Benedetto XVI e di esponenti di primo piano della Chiesa cattolica, ci troviamo di fronte a una lunga serie di atti di accusa contro carrierismo, arroganza, tendenza a mettere zizzania, ipocrisia.

 

L’impressione è che il Vaticano abbia permesso che gli “zampini” diabolici si introducessero nella sua vita, anche perché ha finito per accompagnare come un gemello siamese le convulsioni e la crisi della Seconda Repubblica Italiana.

 

Dagli appalti del G8 alla Maddalena, alla ricostruzione dell’Abruzzo terremotato, dalla Protezione civile al  “buco” del San Raffaele di don Luigi Verzè, fino allo scontro sulla riforma dello “IOR” , alle polemiche velenose per il controllo del Governatorato vaticano, allo scandalo della Regione Lazio e quello della Lombardia, l’intreccio è stato costante e sconcertante.

 

E non è vero che il leader ed ex presidente del Consiglio del centrodestra possa considerarsi l’unico responsabile di quanto è accaduto, ma il suo modello culturale è apparso prevalente  e vincente a lungo, perfino dentro la Chiesa cattolica.

 

Dire che quest’ultima sia stata “berlusconizzata” sarebbe esagerato e dunque fuorviante. Ma certo la subalternità nei confronti di quanto faceva il leader del centro-destra a un tratto è diventata vistosa.

 

Valga come esempio quanto ebbe a dire un monsignore nel 2011 : “Alessandro Magno aveva la sifilide, ma è rimasto  Alessandro Magno. Allo stesso modo, Berlusconi andrà pure con delle ragazze molto giovani, ed è male, molto male, sia chiaro. Però non si può dimenticare quanto ha fatto per la Chiesa. E se pure si allea con Putin e in cambio garantisce gli approvvigionamenti energetici all’Italia, ben venga il rapporto con il presidente russo……”

 

 Si può sicuramente affermare che la Seconda Repubblica vaticana ha mostrato una Santa Sede obbligata a chiedere di più alla politica rispetto alla Prima Repubblica democristiana. E i partiti hanno professato minore laicità in confronto con la D.C. , offrendo il proprio appoggio e ostentando l’appartenenza religiosa come una clava da brandire contro gli avversari.

 

Negli ultimi anni si è constatato che da parte del Vaticano, piuttosto che alzare la voce e contestare episodi che gridavano vendetta o comunque fermezza, si è preferita la diplomazia di silenzi e distinguo dettati dalla paura di scontentare il potere politico; comunque, di doverci fare i conti fino in fondo, a costo di rompere.

 

E MARTINI  DISSE :  “SIAMO IN RITARDO DI DUE SECOLI”

 

Ma la crisi rimanda a qualcosa di più profondo. Oltre la fine della DC e della guerra fredda. Oltre l’accidente della lunga transizione berlusconiana.

 

Chiama in causa il modo di essere e di rapportarsi con la società e con il potere di una Chiesa incapace, almeno in gran parte dei paesi dell’Europa occidentale, di esprimere un’identità forte e soprattutto accettata; e dunque condannata a rinculare progressivamente verso posizioni sempre più minoritarie e recriminatorie.

 

La scomparsa di Martini, “il mendicante con la porpora” che “a Roma preferì Gerusalemme, e al potere gli studi e la gente” ha colpito ma anche spiazzato la Chiesa.

 

La sua conversazione con Federica Radice e il gesuita Georg Sporshill ha avuto l’effetto di un “testamento spirituale” e atto di accusa ingombrante e radicale contro l’intero governo della Chiesa e contro la sua arretratezza culturale alimentata dalla paura. “Siamo in ritardo di due secoli” è stata la sua analisi spietata. “La Chiesa è stanca, la nostra cultura è invecchiata, le nostre chiese sono grandi, le nostre case religiose sono vuote e l’apparato burocratico lievita , i nostri riti e i nostri abiti sono pomposi”.

 

I FANTASMI DI TODI

 

L’espressione “nuovo protagonismo dei cattolici” è una delle più abusate degli ultimi diciotto anni in Italia.

 

La Democrazia Cristiana fu un prodotto nato dal quadro internazionale seguito alla fine della seconda guerra mondiale. Aveva un modello speculare nelle classi dirigenti di altre nazioni dell’Europa occidentale, a cominciare dalla Germania.

 

La fine della guerra fredda ha però consegnato alla storia quei movimenti.

 

 L’evoluzione conservatrice del Partito Popolare Europeo ha ufficializzato l’entrata in scena di protagonisti completamente diversi.

 

Gli appelli delle gerarchie ecclesiastiche oggi non solo non fanno breccia ma rischiano di provocare una reazione di rigetto, perché vengono percepiti come ingerenza e intrusione in una sfera ormai acquisita alla laicità; e perché dopo la diaspora seguita alla fine della DC, e dopo gli anni controversi del berlusconismo, i contrasti fra cattolici non sono diversi da quelli fra elettori e dirigenti di partiti avversari.

 

Da questo punto di vista, la parabola dei convegni del “Forum sociali cattolici” a Todi del 2011 racchiude e riflette fedelmente l’ambiguità di queste impostazioni. Il risultato del convegno è stato magro e fortemente contraddittorio. E, due anni dopo, l’epilogo è stato sconfortante.

 

L’irritazione malcelata e conseguente della Chiesa è stata provocata dall’ennesimo sospetto di essere stata usata per obiettivi che non coincidevano con quelli verso i quali pensava di pilotare il “suo mondo” ; obiettivi che alla fine si sono rivelati indipendenti dalla volontà delle gerarchie ecclesiastiche, e suggeriti da dinamiche diverse.

 

L’insuccesso confermava che non era bastato lo schieramento di associazioni culturali, sindacali, economiche, e il rosario di banchieri, imprenditori, intellettuali convenuti a Todi per proiettare in modo durevole nel futuro un’iniziativa segnata dalla confusione del linguaggio e degli obiettivi.

 

La Cisl di Bonanni, le Acli di Oliviero, la Compagnia delle Opere ciellina di Bernhard Scholtz, la Coldiretti di Sergio Marini, la Confartigianato di Giorgio Guerrini, la Confcooperative di Luigi Marino, l’Mcl di Costalli, appoggiati dai vertici della Comunità di Sant’Egidio, rappresentavano uno schieramento impressionante solo sulla carta. Erano il retroterra naturale della DC nel secolo passato. Ma nel 2011 era difficile dire quanti voti portassero in dote;  e se culturalmente e politicamente volessero la stessa cosa.

 

L’operazione di Todi col passare dei mesi ha rivelato e sottolineato tutta la sua contraddittorietà. E alla fine ha lasciato una traccia molto labile. Non è stata un’occasione mancata, ma la conferma che il progetto o i metodi con i quali era stata preparata poggiavano sulla sabbia di una lettura storica inadeguata. Indietro non si poteva tornare.

 

 SE LA CHIESA PRODUCE INSTABILITA’

 

Le divergenze sotto traccia dei protagonisti riflettevano anche quelle presenti nella CEI  e in Vaticano.

 

Italia e Chiesa vivono da tempo una crisi parallela : al punto che negli ultimi cinque anni è parso quasi che le gerarchie cattoliche siano state anche loro non un fattore di unità, di certezza e di stabilità, ma di divisione e di litigiosità : come se avessero subito il contagio dalla sterile rissosità dei partiti italiani.

 

E più declinava la stella berlusconiana, rendendo imbarazzanti la contiguità e l’alleanza con spezzoni rilevanti del potere vaticano ed episcopale, più questo contagio è apparso nelle sua reali dimensioni.

 

Il conflitto prolungato, apparentemente irriducibile, per quanto felpato, fra CEI e il Segretario di Stato vaticano, Tarcisio Bertone, è diventato una costante nei rapporti fra Stato italiano e Chiesa. E li ha fortemente segnati, rendendoli meno fluidi del passato.

 

 In questi anni, ogni interlocutore istituzionale del Governo di Roma sapeva che scegliere come referente la CEI o la Segreteria di Stato vaticana significava entrare in tensione con l’altro; che ogni intesa con i vescovi poteva trovare una resistenza o una controindicazione Oltretevere, e viceversa, perché lo scontro all’interno dei vertici ecclesiastici ha significato in primo luogo un difetto di comunicazione, se non una vera incomunicabilità, fra  di loro;  ma anche contraccolpi esterni moltiplicatori di equivoci e timori.

 

Le “correnti” nella Chiesa hanno pesato non soltanto sull’evoluzione del mondo cattolico ma sullo Stato italiano, scaricandogli addosso le loro tensioni.

 

 D’altra parte cercare di coagulare maggioranze fondate su valori etici attraverso le leggi tende a dividere, perfino a lacerare, e non a unire. E spaccando in primo luogo proprio quello che ormai solo per pigrizia mentale può definirsi mondo cattolico, perché è fatto di realtà diverse e spesso distanti fra loro.

 

La strategia che punta a riunire i cattolici presenti in tutti gli schieramenti per farli combattere come crociati trasversali nelle battaglie parlamentari sui “temi sensibili” e i “valori non negoziabili”, per lo più, si è rivelata velleitaria.

 

Nella volontà della Chiesa italiana di aver “suoi” ministri, “suoi” parlamentari , “suoi” medici, “suoi” magistrati e “suoi” giornalisti si indovina l’autopercezione del cattolicesimo come minoranza. Una minoranza minacciata da uno Stato considerato inesorabilmente ostile, e in continua involuzione antireligiosa.

 

Di qui alla prospettiva del “ghetto” la strada può rivelarsi più breve di qualsiasi previsione.

 

Quando si punta sull’obbedienza e la devozione, di fatto subordinando la politica alla religione, il clericalismo è in agguato. Con tutti i suoi paradossi.

 

PRIMAVERE ARABE E “PULIZIA RELIGIOSA”

 

Quando nella primavera del 2012 è stato proclamato uno stato separato del Nord del Mali, il grosso dell’opinione pubblica occidentale non se n’è neanche accorto.

 

E’ stato un errore di prospettiva pericoloso.

 

Quanto avveniva a Timbuctù rifletteva le onde dei cambiamenti in atto : onde della sabbia del deserto destinate a infrangersi sulle coste del Maghreb e, da lì, arrivare fino all’Europa meridionale.

 

A metà del gennaio 2013 la Francia ha spedito in Mali l’élite delle sue forze armate per riaffermare la sua influenza sui territori dell’ex impero dell’Africa francofona.

 

L’entusiasmo occidentale, in primis statunitense, per una fioritura di movimenti spontanei che usavano internet e mostravano il volto giovane di società dove la demografia rimane da record, ha fatto pensare che si potesse passare di colpo dall’autoritarismo alla democrazia : tipico salto ideologico di chi applica agli altri i propri schemi.

 

Si è capito in questi giorni che la “diga verso l’islamismo politico non è più la fonte di legittimazione dei governi”.

 

Mubarak in Egitto, Ben Alì in Tunisia, Gheddafi in Libia, come era successo con Saddam Hussein in Iraq, erano figli di un’epoca finita.

 

Tutti alleati ambigui, intermittenti, ma di fatto, dell’Occidente: soprattutto come argini contro un islamismo antiamericano e anticristiano.

 

La conseguenza della loro caduta è stato un effetto domino tale da destabilizzare l’intera regione; e di rimbalzo una parte non piccola di quella sottostante. In Nordafrica si stanno consolidando regimi ispirati a quello che viene chiamato islamo-nazionalismo.

 

 

 

IL VATICANO SPIAZZATO

 

Un patriarca mediorientale aveva lanciato il monito in tempi non sospetti, quando la primavera araba era all’inizio: “Se non diamo la democrazia a questi Paesi, arriverà l’islamizzazione”.

 

A Roma, già nel 2010, un diplomatico statunitense intravedeva l’atteggiamento benevolo del Vaticano nei confronti della Siria  di Assad come limite destinato a ritorcersi contro la Santa Sede. “Se tarda ancora a parlare chiaro contro la repressione messa in atto da quel regime, il Vaticano si troverà spiazzato”,  avvertiva.

 

Gli attacchi alle chiese cristiane in Egitto; la regressione delle condizioni delle donne in Tunisia; la crescita d’influenza delle componenti dell’Islam più radicale in Libia: e l’anarchia violenta imposta dai gruppi e sottogruppi legati al “salafismo” e agli imitatori e seguaci di Al Qaeda, sono conseguenze di un cambiamento che prima l’Occidente ha tentato di intercettare e incanalare verso modelli sil-democratici ; ma adesso scopre di avere sottovalutato o analizzato le cose  con lenti troppo rosee.

 

In alcuni Paesi da tempo portare la croce cristiana sul petto è pericoloso e ora la prospettiva è quella di “passare da una dittatura politica, che per tanti anni ha tenuto il popolo sotto il suo tallone, auna di stampo religioso”

 

I saccheggi delle chiese, dal Kenia al Mali, sono avvisaglie di quanto potrebbe succedere nei Paesi  “liberati”  tra il 2010 e il 2011.

 

L’anarchia nel Mali significa anche velo integrale per le donne a Timbuctù, locali della Caritas cattolica distrutti, e la piccola comunità cristiana costretta a fuggire per non essere annientata.

 

Lo spettro è quello della “pulizia religiosa”, ultima variante africana delle “pulizie etniche” e tribali che hanno provocato centinai di migliaia di morti nel recente passato.

 

E questo in un’Africa dove nel XX secolo il numero dei cristiani è cresciuto del seimila per cento, passando da 8 a 500  milioni.

 

LA SINDROME DEL PANDA

 

Di fronte a queste ondate che rivoluzionano brutalmente non solo i governi ma gli equilibri geopolitici e georeligiosi, la Chiesa cattolica cerca di garantirsi almeno una parità di trattamento per le sue comunità locali: insomma vuole protezione contro le persecuzioni.

 

Il Vaticano ha potuto garantire la faticosa sopravvivenza delle sue comunità sempre più sparute di fedeli fino a che ha avuto di fronte governi ed istituzioni statali, per quanto autoritarie, arroganti, a volte delegittimate. Il suo “potere soffice” è stato in grado di trattare una convivenza più o meno precaria, che comunque garantisse un qualche equilibrio. Ma nel caos tribale e nell’assenza di qualunque interlocutore, l’esito si preannuncia tragico.

 

Il problema è che i così detti “Fratelli” oggi sono la maggioranza moderata,  fortemente ricattati da una corrente “salafita” che vuole imporre una visione dello Stato ostile ai “cristiani copti” e a tutte le altre minoranze, smantellando ciò che resta della legislazione laica e puntando a far arretrare le poche conquiste femminili.

 

 Si delinea insomma una tragedia per il Vaticano, che ha sempre tentato di mantenere aperti i canali di dialogo con un Islam a molte facce e in preda a una progressiva involuzione.

 

Ma questo fosco futuro è anche un dramma per l’intero Occidente e per lo stesso mondo musulmano.

 

Adesso assume contorni più inquietanti e mette a nudo gli errori strategici dell’Europa, e l’affanno vaticano a riprendere in mano la matassa diplomatica. Per la diplomazia vaticana, il problema principale sembra essere quello di orientare le proprie antenne per capire i nuovi tempi.

 

“Essere rimasti fino all’ultimo di fatto dalla parte di Saddam Hussein, Ben Alì, Mubarak, Gheddafi, Assad, dimostra che in Vaticano si sono attardati su uno schema andreottiano figlio della guerra fredda, che negli ultimi anni è stato spazzato via”.

 

Il fatto che anche gli Stati Uniti si accorgano di avere cavalcato movimenti difficilmente governabili è un’amara consolazione.

 

Un equilibrio è finito e se ne sta creando uno nuovo, apparentemente più ostile e comunque più difficile da decifrare del precedente.

 

E l’Italia è costretta a fare i conti con una nuova frontiera di insidie, estesa dal cuore del Sahara al “suo” mar

 

 

 

Breve aggiornamento dei fatti riferentesi al Vaticano alla data del luglio 2013:

 

 

 

Il nuovo papa è un gesuita di origine italiane venuto dalla lontana Argentina.

 

Un papa con grande carisma che centomila fedeli lo aspettano in piazza ogni mercoledì nei suoi incontri di preghiera.

 

Si tratta di una personalità che merita una nostra mensile attenzione e che cercheremo presto di descrivere.

 

Il papa ha preso subito a cuore la situazione dello “IOR”  e i primi risultati sono stati che si sono già dimessi sia il direttore generale dello “IOR” , Paolo Cipriani , che il vicedirettore Massimo Tulli . Papa Bergoglio ha nominato monsignor Battista Mario Salvatore Ricca nuovo prelato dello IOR.  Ricca è il direttore della “Casa Santa Marta”, un albergo per monsignori e studenti,  dove il pontefice ha scelto di vivere insieme ai colleghi sacerdoti invece di rinchiudersi solitario nelle stanze vaticane.

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