GIUGNO 2012 UOMINI SOLI di Attilio Bolzoni

notizia pubblica il 29/06/2012 - ultimo aggiornamento del 29/06/2012

GIUGNO  2012

 

UOMINI SOLI

(Pio La Torre e Carlo Alberto dalla Chiesa)

(Giovanni Falcone e Paolo Borsellino)

 

di  Attilio BOLZONI

 

Si tratta di un libro di poco più di 200 pagine ma in questo mese di giugno 2012

si riporta solo un riassunto di quanto ci dice il giornalista Attilio Bolzoni su Pio La Torre.

 

Ci riserviamo di trattare degli altri, anch’essi vittime della mafia, in un secondo tempo

 

Chi è ? Chi è quell’uomo incastrato dentro la berlina scura e con la gamba destra che penzola dal finestrino ? Chi è il primo morto di questa giornata di sole, il sangue, le mosche, la folla che freme davanti a un altro sparato di Palermo ?

Chi è ?  “E’ Pio La Torre”, bisbiglia il commissario capo Antonino Cassarà al giudice Falcone. “E’ Pio La Torre”, ripete Giovanni Falcone al suo amico Paolo Borsellino. “E’ Pio La torre”, sibila con un soffio di voce il consigliere istruttore Rocco Chinnici che alza gli occhi al cielo e si fa il segno della croce.

Pio La Torre, segretario regionale del Partito Comunista Italiano, deputato alla Camera per tre legislature, figlio di contadini, sindacalista e capopopolo negli infuocati anni del separatismo e dell’occupazione delle terre. Pio La Torre, un nemico di tutte le ingiustizie. Nato a Palermo alla vigilia del Natale del 1927 e morto il 1° maggio del 1982.

Sembra un manichino. Il capo è abbandonato sul corpo insanguinato di Rosario Di Salvo, da ragazzo emigrato in Germania e poi tornato giù anche per lui. Per proteggerlo. Non era solo il suo autista, Rosario era un amico. L’ombra di Pio.

Perché uccidono Pio La Torre ? Probabilmente perché ha capito che la Sicilia sta cambiando padroni. E’ mafia quella che spara . Ma non è solo mafia quella che fa di Palermo una sconfinata tonnara. E’ laboratorio criminale e terra di sperimentazione per accordi di governo da esportare a Roma, è porto franco, capitale mondiale del narcotraffico, regno di latitanti in combutta con questori e prefetti, onorevoli mafiosi e mafiosi onorevoli.

Pio La Torre è pericoloso. Parla due lingue. Sa tradurre il siciliano in italiano.

Ultimo di cinque figli, tre maschi e due femmine, Pio La Torre cresce fra gli orti e i giardini di limone di una gola della Conca d’Oro. Una Palermo distante dai palazzi barocchi dei Quattro Canti, dalle magnifiche dimore settecentesche dei baroni e dei conti della Piana dei Colli.

Ha otto anni quando l’Italia invade l’Abissinia, dodici quando Hitler scatena la seconda guerra mondiale. Frequenta la Scuola di Avviamento al Lavoro, va a piedi ogni mattina “ai Leoni”, nella piazza davanti all’ingresso del parco della Favorita. Da Altarello di Baida sono più di dieci chilometri. Fa il manovale a 30 lire al giorno per pagarsi le tasse all’Istituto Industriale. Si diploma: è la promessa fatta da bambino ai genitori. Qualche mese dopo, non ha ancora diciotto anni, è già iscritto all’Università. Facoltà di Ingegneria. E anche al Partito Comunista Italiano . E’ il 1945.

Da quelle parti un comunista in casa non è ben visto. Pio La Torre è un giovane attivista politico. Apre una sezione a pochi passi dalla sua borgata, un’altra a Boccadifalco, la terza ai Chiavelli. In famiglia ci sono sempre discussioni, liti.

Lascia Altarello di Baida e scende in città, va a vivere come ospite della famigli di Pancrazio De Pasquale, il segretario della Federazione provinciale del Pci. In quei giorni conosce una ragazza, Giuseppina Zacco, figlia di un ufficiale medico dell’Esercito. S’incontrano un pomeriggio al partito, lei lo guarda e pensa: “E’ bello, bello assai: questo me lo devo sposare”. 

Sono già 37 i sindacalisti siciliani uccisi dalla mafia e dai sicari della banda Giuliano. La sera del 10 marzo 1948 scompare anche Placido Rizzotto, un ex partigiano che è segretario della Camera del Lavoro di Corleone. Il suo cadavere sarà ritrovato 644 giorni dopo in una foiba della Rocca Busambra. Lo sanno tutti in paese che è stato Luciano Liggio ad ucciderlo. Lo scopre un giovane capitano di stanza nell’isola, un piemontese che entra volontario nel Comando Forze Repressione Banditismo. L’ufficiale si chiama Carlo Alberto dalla Chiesa, dal settembre del 1949 è il nuovo comandante del Terzo Gruppo Squadriglie dei carabinieri di Corleone.

Il primo incontro fra quei due uomini, Pio La Torre e Carlo Alberto dalla Chiesa, avviene nel cuore della Sicilia. E nel cuore di una mafia che segnerà il loro destino.

Il 10 marzo 1950, Pio La Torre è alla testa di un corteo di seimila uomini, donne e bambini. Quella mattina, si prendono i duemila ettari del feudo di Santa Maria del Bosco del barone Inglese. Sassaiole, scontri, c’è qualche ferito, in molti riescono a fuggire, in centottanta vengono fermati. Fra loro c’è Pio La Torre. E’ circondato da poliziotti, gli sputano in faccia. Trascinato in catene negli uffici della Questura, a Palermo, all’alba dell’11 marzo è rinchiuso all’Ucciardone. La sua carcerazione preventiva dura un anno e mezzo.

Il primo colloquio con sua moglie – Pio e Giuseppina si sono sposati il 29 ottobre del ’49 – riesce ad ottenerlo dopo sessanta giorni in cella di isolamento. E’ dietro una porta di ferro, per parlare con lei deve incastrare la testa fra le sbarre. Giuseppina è sconvolta. Aspetta un figlio, Filippo, che nasce il 9 novembre del 1950. Pio La Torre lo vede la prima volta nel cortile alberato dell’Ucciardone, tenuto in braccio da una guardia carcerariae infagottato in un sacco di tela.

Con i ceppi ai polsi, compare una mattina in uno stanzone dello Steri, l’antico palazzo dell’Inquisizione, i suoi avvocati ne chiedono la scarcerazione che i magistrati della Procura di Palermo gli negano. Il sostituto procuratore generale Pietro Scaglione – sarà ucciso dalla mafia nel 1971 – vieta a Pio La Torre un secondo colloquio con la moglie Giuseppina “per il carattere politico del processo”. Deve restare in isolamento !

Durante le ultime udienze, quando cominciano ad affiorare le false testimonianze dei poliziotti che l’hanno accusato, Pio La Torre viene assolto “in ordine al delitto di lesione in offesa del tenente Caserta e altri” ma condannato a 4 mesi e 15 giorni di reclusione per l’occupazione del feudo del barone Inglese. E’ all’Ucciardone già da un anno e mezzo !

IL SACCO DI PALERMO

“Palermo è bella, facciamola più bella”, promette alla folla straripante il sindaco Salvo Lima, alla fine di un comizio. Fasce tricolori, mani sudate, panze, fanfare, baci, mezze frasi sussurrate all’orecchio. Alle spalle del sindaco c’è l’assessore ai Lavori Pubblici Vito Ciancimino, figlio di un barbiere di Corleone che ormai è uno dei padroni della città. E’ il 1950 e da sette anni Pio La Torre è consigliere comunale a Palazzo delle Aquile. Ci resterà fino al 1966.

Dopo la mafia del feudo comincia a conoscere quella dei mercati generali. E quella dell’acqua. E dell’edilizia. A Palermo si costruisce dappertutto.

In quattro anni il Comune con Ciancimino concede 4205 licenze edilizie. In un solo mese ne rilascia 3011 a cinque pensionati nullatenenti: Salvatore Milazzo, Lorenzo Ferrante, Michele  Caggeggi, Francesco Lepanto, Giuseppe Mineo.

C’è una società che si accaparra tutti gli appalti pubblici. E’ la Va.li.gio, le iniziali di tre personaggi molto noti a Palermo. Il primo è Francesco Ciccio Vassallo, un carrettiere  che non sa nemmeno mettere la sua firma ma che all’improvviso diventa il primo costruttore della città. Il secondo è Salvo Lima, il sindaco. Il terzo è Giovanni Gioia, sottosegretario di Stato alle Finanze e poi ministro della Marina Mercantile.

Li chiamano i “giovani turchi”. I mafiosi più potenti sono loro amici. Soprattutto i fratelli Angelo e Salvatore La Barbera, costruttori.

E’ battaglia in Consiglio comunale e Pio La Torre, senza paura, punta il dito contro i boss del cemento. Ogni epoca ha la sua mafia. Quella siciliana è sempre la stessa e sempre diversa.Si adatta, si trasforma, a volte si nasconde, a volte si mostra con violenza.

A ROMA

Dopo il latifondo e il carcere, dopo Palermo e le interminabili sedute in Consiglio comunale con i mafiosi accanto, comincia per Pio La Torre una terza vita. Eletto alla Camera nella circoscrizione della Sicilia occidentale attacca la mafia in parlamento.

Per tre legislature un figlio di braccianti di una borgata palermitane è il protagonista di una battaglia politica che segna una svolta nella storia italiana. E’ lui ad intuire che la mafia siciliana è una “questione nazionale” e capisce che bisogna strappare i patrimoni ai boss. Sa bene che portare via la “roba” a un mafioso è alla lunga molto più importante che incarcerarlo o perseguirle penalmente.

A Roma, dopo alcuni tentativi andati a vuoto verso la metà degli Anni Cinquanta, nasce finalmente una Commissione parlamentare Antimafia.  La proposta di Pio La Torre punta a classificare per la prima volta la mafia, tutta la mafia, come “associazione per delinquere”.

UN COMUNISTA “DI DESTRA”

Pio La Torre, nonostante la sua passione e la sua irruenza, per le sue frequentazioni interne al partito è indicato come un comunista “di destra”. Uno che ai suoi tempi si è battuto per quel governo delle “larghe intese” con la Dc siciliana e poi ha appoggiato con forza il “compromesso storico” e la “solidarietà nazionale”.

Pio La Torre è un impasto fra impulso e logica, è “governativo” e “ribelle” insieme.

E poi parla sempre di mafia !  Passa per un “rompicoglioni” anche fra i suoi amici.

Tutti gli dicono: “Vuoi abolire il segreto bancario ? Figurati, non ci riuscirai mai”.

Anche nella cerchia più stretta del partito , a Roma, non c’è ancora la consapevolezza politica di un fenomeno criminale come Cosa Nostra e della minaccia che costituisce per l’Italia intera. E’ solo lui che ha quell’assillo: la mafia, i mafiosi. E’ fissato. Vede solo quello. E’ un’ossessione.

DI NUOVO A PALERMO

Nel’autunno del 1981 Pio La Torre è di nuovo a Palermo e Giorgio Napolitano  un quarto di secolo dopo dirà: “Fui colpito e condizionato dalla sua straordinaria determinazione nel chiedere di potere tornare a Palermo, di potere tornare a dirigere in prima linea . Si sentiva come chiamato a una prova, ne faceva un punto d’onore”.

A Palermo è tempo di mattanza.

Sono due le “guerre” che si combattono.

Una è dentro Cosa Nostra. Una resa dei conti che comincia con l’uccisione di Stefano Bontade, mafioso a Palermo e che prosegue nei mesi successivi con agguati a ripetizione, lupare bianche, nemici di cosca torturati e sciolti nell’acido. Vengono fatti fuori i boss più influenti di Trapani, Agrigento, e di Caltanissetta, i don che regnano come califfi nei loro paesi.

Muoiono  anche dall’altra parte dell’Atlantico: caccia spietata ai Gambino e ai Di Maggio e agli Inzerillo. E’ sterminio di massa, pulizia etnica, annientamento di intere fazioni di Cosa Nostra – le più ricche e potenti – che custodiscono i segreti di tanti italiani importanti. Gente che abita ai piani alti della politica e del business. A Milano. A Roma.

L’altra guerra è fuori, scatenata all’esterno dell’organizzazione criminale. Non si sta più con lo Stato ma contro lo Stato. In quella Palermo cupa Pio La Torre avverte in anticipo che gli equilibri mafiosi e politici stanno saltando.

Nel gennaio del 1979 uccidono il cronista Mario Francese. A marzo il segretario provinciale della Democrazia Cristiana Michele Reina. A luglio Boris Giuliano , capo della squadra mobile. A Settembre tocca al consigliere istruttore Cesare Terranova. Poi Pier Santi Mattarella presidente della Regione Siciliana. Quindi Emanuele Basile comandante della Compagnia dei carabinieri di Monreale e poi Gaetano Costa procuratore capo della Repubblica. Omicidi “preventivi” e “dimostrativi” , per eliminare pericoli imminenti o per minacciare e produrre paura.

Pio La Torre mette in fila quei delitti e crede di aver scoperto una trama che li attraversa quando sbarca in Sicilia , sotto falso nome, Michele Sindona.

I magistrati milanesi Giuliano Turone e Gherardo Colombo avevano scoperto un’organizzazione segreta nel cuore delle Istituzioni italiane: la loggia P2 di Licio Gelli.

962 affiliati : quarantaquattro parlamentari, tre ministri in carica, un segretario di partito , dodici generali dell’Arma dei carabinieri , cinque della Guardia di Finanza, ventidue dell’Esercito , quattro dell’Aeronautica, otto ammiragli di Marina. Poi giornalisti, dirigenti Rai, funzionari del ministero dell’Interno, editori e imprenditori fra i quali il milanese Silvio Berlusconi.

Sindona ha amici potenti a Roma, negli Usa e in Vaticano. Il 40 per cento delle operazioni della Borsa di Milano è sotto il suo controllo diretto ed è padrone di tre catene internazionali di hotel e di quasi 500 società. Arriva clandestinamente in Europa via Vienna, scende in Grecia,s’imbarca per la Puglia e si rifugia nel regno dei boss Di Maggio.

            ADESSO TOCCA A NOI

            Pio La Torre si sente in pericolo. Ricorda così l’amico Macaluso : “Pio aveva la consapevolezza di un disegno della mafia. Che dietro c’era Ciancimino, uno che aveva un rapporto con i Corleonesi e una mente politica per capire quali erano i punti da colpire”.

            Ostinato , Pio La Torre cerca di scoprire cosa c’è in fondo all’accordo fra Palermo e Catania. Sta toccando i fili dell’alta tensione.

Nella primavera del 1982 conosce anche due giovani giudici istruttori, si chiamano Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Stanno indagando su mafia e banche, mafia e imprese, mafia e Regione. “Pazzi, sono dei pazzi, dicono in città.

La Torre è in confidenza con il loro capo, Rocco Chinnici, il giudice che ha preso il posto del suo amico Cesare Terranova ucciso qualche anno prima. Parlano fra loro di ciò che sta avvenendo in Sicilia, della guerra che Cosa Nostra ha dichiarato allo Stato, delle misure legislative che occorrono per fermarla.

Il desiderio di giustizia di Pio La Torre non è condiviso fino in fondo da tutti, nemmeno del suo partito. Il Pci in Sicilia è dilaniato da faide intestine come sempre. Al congresso regionale del 14 gennaio 1982 tutti i compagni più vicini a lui vengono esclusi dal Comitato provinciale. Gli atti della Commissione provinciale di controllo del Pci, sugli agganci delle coop con i boss di Ciaculli e Villabate, spariranno per sempre dagli archivi del partito in corso Calatafimi e viene anche sottratta la relazione di Pio La Torre con la denuncia di quelle collusioni.

 

 

UN DOSSIER PER SPADOLINI

Il 3 marzo 1982 il segretario del Pci siciliano è a Roma per incontrare il presidente del Consiglio Giovanni Spadolini. E’ con Ugo Pecchioli e con Rita Bartoli, la vedova del procuratore Gaetano Costa. Consegna sette cartelle dattiloscritte , un dossier sulla strategia di guerra da mettere in atto contro Cosa Nostra e chiede d’intervenire “urgentemente” e considerare la mafia non più solo un problema di ordine pubblico ma una “questione nazionale”. Suggerisce anche di mandare a Palermo Carlo Alberto dalla Chiesa, il carabiniere che ha sconfitto il terrorismo in Italia.

COMISO

Pio La Torre in quei giorni va e viene da Comiso, un paesone in provincia di Ragusa dove il governo italiano, su pressione degli americani e in nome del Patto Atlantico, ha deciso di trasformare un ex aeroporto militare nella base di missili nucleari più grande d’Europa. E’ la corsa al riarmo delle Grandi Potenze prima del crollo del Muro di Berlino.

Intorno alla base militare i mafiosi di Palermo hanno già cominciato ad acquistare terreni e ci sono imprese che si spostano dalla Sicilia occidentale al Ragusano per prepararsi all’arrembaggio dei sub-appalti. Pio La Torre decide che il 1° maggio, festa dei lavoratori, non andrà a Portella della Ginestra per il trentacinquesimo anniversario della strage. Sarà invece a Comiso.

CHI HA UCCISO ?

Il 1° maggio 1982 Pio La Torre non è fra le rocce di Portella della Ginestra e nemmeno davanti alla base dei missili a Comiso. E’ dentro una bara che, il giorno dopo, sfila per le vie di Palermo. Partigiani e corone di fiori, amici e nemici. Tutti insieme per l’ultimo saluto.

Forse sono centomila, forse di più. Funerali di rabbia e di dolore. Sul palco sale il capo dello Stato Sandro Pertini, seguito dal segretario del Pci Enrico Berlinguer. Poi ci sono il presidente del Consiglio Giovanni Spadolini e la presidente della Camera Nilde Iotti. Dietro di loro, pallidi in volto, sono schierati i ministri della Repubblica. Toghe eccellentissime, presidenti di Corte di Appello e procuratori generali. Sembrano mummie. In fondo al palco c’è anche Carlo Alberto dalla Chiesa, il generale.

Davanti alla folla c’è Mario D’acquisto, il presidente della Regione Siciliana, un maggiordomo di Salvo Lima. Fa tutto quello che il capo gli dice di fare. Il presidente D’Acquisto si avvicina al microfono, la piazza esplode. Urla : “Lima, D’Acquisto, Ciancimino, chi di voi l’assassino ?”

 

Chi ha ucciso Pio La Torre ?

La sua “Legge” sul reato di associazione mafiosa ?  -  I grandi appalti di Palermo ?  -  I missili di Comiso ?  - 

Le ipotesi sul suo omicidio si allungano da una parte e dall’altra, s’intrecciano, sbiadiscono. Non s’indaga sul delitto La Torre. A Palermo c’è chi non vuole indagare.

“Pio non può essere stato ammazzato da un qualunque ladruncolo di cooperativa”, si indigna la moglie Giuseppina.

E’ il giudice Giovanni Falcone commenta così questo delitto: “Omicidi come quello di Pio La Torre sono fondamentalmente da ritenere di natura mafiosa, ma al contempo sono delitti che trascendono le finalità tipiche di un’organizzazione criminale, anche se del calibro di Cosa Nostra. Qui si parla di omicidi politici, di omicidi, cioè, in cui si è realizzata una singolare convergenza di interessi attinenti alla gestione della cosa pubblica: fatti che non possono non presupporre tutto un retroterra di segreti ed inquietanti collegamenti”.

 

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